Loic Wacquant (a cura di)
Le astuzie del potere
Pierre Bourdieu e la politica democratica
 
Il manifesto, 13 agosto 2005

Il mistero della doxa neoliberale
«Le astuzie del potere», un insieme di saggi sullo studioso francese per ombre corte
di MASSIMILIANO GUARESCHI

Nell'inverno del 1995, in occasione dello sciopero dei dipendenti del trasporto pubblico che avrebbe paralizzato la Francia per alcune settimane, Pierre Bourdieu prende la parola a un'affollata assemblea di ferrovieri per comunicare il proprio appoggio e per specificare come la lotta in corso avesse un significato non corporativistico ma universalistico, che chiamava in causa le condizioni di vita delle classi subalterne. A tale pronunciamento sarebbe seguita fino alla morte, avvenuta il 23 gennaio 2001, un'attività sempre più intensa di militanza diretta a supporto delle più diverse mobilitazioni, dagli agricoltori ai sans papiers, dai precari agli insegnanti, nella prospettiva della costruzione di un movimento europeo in grado di rinnovare dal basso le pratiche dell'agire politico. Contemporaneamente, l'impegno politico si declinava anche in termini di politica culturale. Il proposito di veicolare elementi di critica del presente oltre la ristretta cerchia degli specialisti lo spinse a farsi promotore di iniziative editoriali come la casa editrice Raison d'agir - sorta con il proposito di produrre volumi agili e a basso prezzo in grado di fornire punti di vista diversi, sociologicamente fondati, sulla globalizzazione, le ossessioni securitarie, i presunti vincoli dell'economia - o a collaborare alla rivista musicale «les Inrockuptibles», allo scopo di raggiungere con le sue idee un nuovo pubblico. L'ingresso di Bourdieu nell'agone politico suscitò un'ampia eco. E anche una certa sorpresa, vista la discontinuità rispetto all'atteggiamento precedentemente tenuto dal sociologo. Certo, il posizionamento di Bourdieu a sinistra non era un mistero, tuttavia fino a quel momento si era espresso in forme più «ortodosse», nella specificità del lavoro scientifico e della dimensione accademica, al cui interno aveva la possibilità di beneficiare del ruolo, secondo la sua definizione, dell'«eretico legittimato». Che la rottura fra i due momenti sia in realtà solo apparente è quanto cercano di dimostrare molti dei contributi raccolti da Loïc Wacquant in Le astuzie del potere. Pierre Bourdieu e la politica democratica (ombre corte, pp. 178, € 15).
Bourdieu ha sempre manifestato una concezione fortemente politica della sociologia. A tale disciplina è infatti affidato il compito di «defatalizzare il mondo», di mostrare il carattere storico e artificiale di dispositivi di dominio il cui funzionamento presuppone la loro percezione, da parte dei dominati, come fatti naturali. In tal senso si potrebbe parlare di una sorta di fiducia illuministica, sulla quale è lecito nutrire qualche perplessità, nella capacità emancipativa di un sapere che, se scientificamente rigoroso, non può che porsi come istanza critica dello status quo e dei discorsi che lo legittimano. In tale ottica può essere letta la sua traiettoria intellettuale, dagli iniziali studi sull'impatto della colonizzazione sulle società algerine, passando per le analisi sul sistema scolastico come meccanismo di riproduzione delle differenze di classe o sul dominio simbolico fino alla critica della doxa neoliberista che lo vede impegnato a partire da la Misére du monde.
Per cogliere la specificità dell'approccio di Bourdieu al campo della politica Le astuzie del potere può essere letto in parallelo alla recente raccolta di scritti del sociologo francese Proposta politica. Andare a sinistra oggi (Castelvecchi, pp. 115, € 10). Wacquant sottolinea come nell'opera boudieusiana possa essere individuato un «tentativo di plasmare una scienza delle condizioni di possibilità della democrazia», intesa come «una particolare formazione sociale in cui ciascuno possiede l'inclinazione e la capacità di farsi carico delle questioni politiche». Una simile prospettiva passa necessariamente per la problematizzazione, in chiave sociologica, di una serie di presupposti dati per scontati dalla scienza politica, quali la logica aggregativa dei voti tipica dei meccanismi elettorali. L'isolamento nella cabina del singolo elettore gli appare non il meccanismo che garantisce l'esercizio della partecipazione politica, bensì un dispositivo che, occultando le diverse allocazioni di risorse cognitive e simboliche, contribuisce a ratificare la distinzione fra cittadini politicamente attivi e passivi. Con ogni evidenza, Bourdieu ripone maggiori aspettative in altre forme di costruzione dell'azione collettiva, quali le mobilitazioni di piazza e sul luogo di lavoro, nelle quali le opzioni emergono non come aggregato statistico di opinioni atomizzate ma attraverso l'interazione fra gli attori coinvolti. Anche in questo caso, tuttavia, il percorso verso una politica democratica non appare lineare, e deve scontare i paradossi, e le derive «usurpatorie», a cui approda ogni inevitabile pratica di delega. Interrogarsi sulle condizioni di una possibile politica democratica, inoltre, significa anche considerare non solo le posizioni ma anche le disposizioni, ossia non solo le condizioni strutturali e la collocazione di classe degli attori ma anche gli schemi di percezione e classificazione della realtà che a tali posizioni sono dialetticamente correlati. E questo in quanto per Bourdieu «la lotta politica è una lotta cognitiva, pratica e teorica, per il potere di imporre la visione legittima del mondo sociale, cioè per il potere di (ri)produrre la realtà preservando o modificando le categorie attraverso cui gli attori comprendono e costruiscono il mondo».


CARTA, 32, 2005

Il sottotitolo «Pierre Bourdieu e la politica democratica» spiega il contenuto del libro: una messa a fuoco delle acute analisi del sociologo e studioso francese recentemente scomparso a proposito del tema dei temi: la democrazia. Il libro contiene infatti alcuni contributi di Bourdieu alla teoria e alla pratica della democrazia cioè alla questione del potere ma anche alla nascita dello stato moderno con le immani conseguenze sul piano politico e sociale. In una oscillazione non solo di luoghi ma di simboli, tra la dimensione locale e globale. Illuminante l’ammonizione di Bourdieu, contenuta nella prefazione del curatore del volume: «Vale la pena - aveva detto Pierre Bourdieu in una intervista rilasciata a Le Monde nel 1977 - lottare per il riconoscimento del diritto universale alla parola, e di parlare per il ritorno degli oppressi».





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