The Village Generation

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Barbara Lanati

pp. 238
Anno 2024 (settembre 2024)
ISBN 9788869482922

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Descrizione

Barbara Lanati
The Village Generation
Arte e dissenso nel Modernismo americano. Greenwich Village, Provincetown e Taos

The Village Generation è un viaggio nel tempo, all’inizio del secolo scorso, alla (ri)scoperta di alcune figure chiave dei movimenti artistici, letterari e sociali che diedero forma al Modernismo e a nuove espressioni artistiche negli Stati Uniti. Il libro ripercorre le storie di una generazione di giovani donne e uomini, artisti e scrittori, pensatori e innovatori nati negli ultimi decenni dell’Ottocento che, dal cuore pulsante di New York, contribuì ai cambiamenti culturali e sociali dell’America di inizio Novecento. Un racconto di vite individuali che si sono intrecciate, nei salotti e nei bar, nei teatri e nelle piazze, negli atelier e nelle gallerie d’arte, muovendosi insieme oltre il confine delle convenzioni, oltre la cultura mainstream, per le strade di New York, sulle spiagge di Provincetown, nelle colonie di artisti, fino al deserto di Taos nel New Mexico. È la “Village Generation” che scelse di esprimere la propria creatività attraverso la partecipazione, schierandosi dalla parte delle minoranze, per difendere la libertà (di espressione, di parola e anche sessuale) e i diritti civili. Giovani, precursori dei movimenti di protesta, ambientalisti, pacifisti, promotori della parità di genere e del femminismo, ma anche pionieri del giornalismo di inchiesta, di nuove forme d’arte, della pubblicità e degli happening teatrali.
Questo percorso narrativo di Barbara Lanati vuole stimolare la memoria degli appassionati di letteratura angloamericana rivolgendosi soprattutto ai lettori più giovani, a coloro che si avvicinano alla letteratura degli Stati Uniti e alle arti figurative in questo nuovo millennio, per rivivere insieme “la magia dei luoghi” attraversati da quella prima generazione di “Rebels with a cause” per scoprire come molte delle loro battaglie siano ancora attuali e ricche di spunti.

Barbara Lanati è professore emerito di Letteratura Anglo-americana all’Università di Torino. Ha pubblicato presso Einaudi, Feltrinelli e Tallone Editore. Tra i suoi lavori più importanti, la raccolta di poesie di Emily Dickinson, Silenzi (1986) e Il Diario di Eva di Mark Twain (1983). Ha curato Le Lettere di Edgar Allan Poe (2017) e le Lettere di Emily Dickinson (1982). Vita di Emily Dickinson, uscito nel 1998, è stato finalista al Premio Commisso (2000).

Rassegna stampa

Domenica del “Sole 24 ore” – 15 dicembre 2024

MILLE E UNA LIBERTÀ CHE UNIRONO UOMINI E DONNE DEL VILLAGE
di Elisabetta Rasy

Mentre nella Parigi entre-deux-guerres si formava quella comunità di ingegni americani che sarebbero passati alla storia beatificati dalla definizione di Gertrud Stein: “Lost Generation”, generazione perduta, dall’altra parte dell’oceano, a New York, un non meno nutrito e dotato gruppo di artisti e scrittori si ritrovava intorno al Greenwich Village, con uno spirito altrettanto ribelle.
A loro, Barbara Lanati ha dedicato un bel libro, contrapponendoli fin dal titolo agli espatriati parigini: The Village Generation, dove il villaggio è quel quartiere di New York, il Greenwich Village appunto, che ancora oggi, ma soprattutto in passato, era una patria a sé nella già singolare, rispetto al resto dell’America, patria newyorkese.
Lanati è stata per decenni amata e ammirata docente di letteratura americana all’università di Torino, ma in questo libro non parla solo di scrittori, non segue cronologie storiche o ricostruzioni sociologiche. No, ciò che la interessa è il fattore umano, cioè quegli uomini e direi particolarmente quelle donne che fecero la differenza, all’inizio del secolo scorso, rispetto alla cultura istituzionale e tradizionale e, come lei stessa scrive, rispetto all’«etica vittoriana e al capitalismo». Non erano sofisticati e disincantati come Hemingway o Fitzgerald e gli altri che frequentavano il salotto di rue de Fleurus sotto l’occhio di Gertrud Stein, algida e caustica padrona di casa, lei stessa scrittrice e figura chiave del modernismo. Il gruppo che si trovava attorno a Washington Square e nelle strade popolose del Village era più irruento e variegato, e forse persino più libero.
È proprio sulla ricerca di libertà – libertà espressiva, sessuale, politica, di movimento e di relazioni – che li troviamo riuniti nella ricchissima indagine di The Village Generation. Lanati nella sua lunga storia di americanista, che si è espressa in preziosi saggi (ricordo solo quello su Hawthorne e Melville) e bellissime traduzioni (per tutte Emily Dickinson), ha spesso costeggiato la vita di grandi figure insofferenti della tradizione in modo originale e creativo. Qui insegue personaggi maggiori e minori con la stessa passione, consapevole che, in un gruppo di affini, i forti talenti e i loro compagni hanno egualmente peso nel creare un’atmosfera espressiva e un sentimento del tempo. In questo caso, traghettare l’America verso il Moderno, come stava accadendo nella più colta Europa, soprattutto a Parigi.
C’erano figure destinate a restare nella storia, come il geniale fotografo Alfred Stieglitz, che con la sua Galleria 291 e con la rivista «Camera Work» inaugura nuove forme del vedere, o come John Reed, reporter sovversivo che passa dal Village al Messico di Pancho Villa alla Russia della rivoluzione. Rivoluzione di politica e d’arte, ma anche d’amore: la morale sessuale ribaltata fa parte della missione che questa sparsa comunità si prefigge. Reed, che l’amico Upton Sinclair più o meno affettuosamente definisce “Playboy of Revolution” (sullo schermo avrà il volto di Warren Beatty e quello di Franco Nero), mentre insegue i sovvertimenti del mondo, sperando che diventi migliore, incrocia donne che impazziscono per lui, destinate a loro volta a lasciare un segno. Come Mabel Dodge, ricca ereditiera che assume il ruolo di grande protettrice dell’arte e della letteratura, nella sua villa fiorentina prima, poi nell’appartamento lussuoso di Fifth Avenue, infine e soprattutto a Taos, nel New Mexico, dove, tra le altre, allaccerà una complessa relazione con D. H. Lawrence in cerca di ispirazione tra i nativi americani (a posteriori gli dedica anche un libro, Lorenzo in Taos, che molti anni dopo, nel 2021, sarà lo spunto della scrittrice Rachel Cusk per il suo La seconda casa).
Mabel Dodge che, privilegiata ma in perenne ricerca del nuovo e del trasgressivo, molto prima del famoso party dei Bernstein per i quali lo scrittore Tom Wolfe coniò l’espressione, incarna perfettamente lo spirito del radical chic. Taos , tra i villaggi pueblos, diventerà un buen retiro per molti fuggitivi dalla frenesia della sempre più trionfante industrializzazione, tra cui la già celebre Georgia O’Keefe, seconda moglie di Stieglitz, che sceglierà la luce del deserto per concepire la metafisica, astratta botanica delle sue tele.
Barbara Lanati nella ricognizione sulla Village Generation, e anche nel repertorio di nomi che segue il saggio, dà spazio e ridà giusta importanza anche a figure laterali, alle riviste, talvolta effimere talvolta durature (come «Masses» o «New Republic»), che hanno inventato e ai locali che hanno frequentato. Incontriamo così non solo Emma Goldman la Rossa, o Djuna Barnes o Eugene O’Neil, ma anche per citarne solo alcune, Susan Glaspell, figura di spicco del gruppo molto femminista e molto estremista e anche semiclandestino Heterodoxy, che promuoveva la libertà sessuale, e Margaret Sanger, che nel 1914 coniò l’espressione “Birth control” e a favore del controllo femminile delle nascite diede alle stampe il pamphlet Family Limitation, oppure Polly Holladay, che aprì un ristorante in MacDougal Street, dove tutti i frequentatori del Village discutevano le loro idee d’arte e di società.
Molte le donne nella indagine e riflessione di Lanati perché senza uno spostamento della posizione femminile, e dunque della sua figura nell’immaginario, nessun
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Il Sole 24 Ore https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspape…
cambiamento può essere davvero tale. E di cambiamenti – artistici, sociali, sessuali – la Village Generation ne mise in cantiere molti, gettando le basi di quella stagione alla metà del XX Secolo, in cui, tra letteratura, arte e cinema, la cultura americana avrebbe celebrato il suo trionfo.


 

il manifesto – 5 ottobre 2024

Lanati, il Village e i luoghi alternativi di casa nostra
di Goffredo Fofi

L’americanista torinese Barbara Lanati ha scritto un gran bel libro su The Village Generation, in inglese nel titolo (edizioni ombre corte) in cui ricostruisce l’ampia e variegata storia di minoranze intellettuali e artistiche americane in realtà di più luoghi e anni, e non solo del Village newyorkese, e anche di minoranze politiche o, se si può dire, pre-politiche, in senso largo ma talvolta anche stretto… Le spiagge di Provincetown e il deserto del New Mexico vi hanno il loro posto, alla pari col Village, perché in periodi diversi sono state lo sfondo prescelto da uno o più gruppi come luogo di vita e di confronti. Il cinema ha cantato spesso queste situazioni.
Ho pensato: ma in Italia è esistito qualcosa di simile, sono esistiti luoghi pubblici prescelti da una o più generazioni per ritrovarsi tra persone di ideali simili e di modi di vivere propri, un mondo vicino o dentro quello comune, borghese o proletario che fosse, ma con propri confini e proprio luogo, non solo area di pensiero o culla di comportamenti, luogo fisico di strade piazze locali. La vecchia Heidelberg delle operette, mettiamo, ma anche il Quartiere Latino a Parigi, e luoghi simili in altre piccole e grandi città, e non soltanto in Europa.
Sarebbe un bell’argomento per chi volesse imitare Lanati cercando luoghi e storie simili in Italia, che so? La Porta Romana o la Brera milanesi degli scapigliati, la san Salvario degli studenti torinesi, piazza Bellini o piazza san Domenico a Napoli, che è a due passi dall’università, in certi momenti Trastevere o san Lorenzo a Roma: posti che un tempo si sarebbero detti di bohème, dove ritrovarsi tra simili, ma diversi dal resto della popolazione per stili di vita e per ideali. Sì, ogni città grande o media ha avuto e ha i suoi luoghi di incontro di giovani e di diversi di vario tipo, e ci sono ancora luoghi scelti da giovani che vi trovano o vi aprono locali dove conoscersi e dialogare, di marginali per obbligo e di marginali per vocazione… a volte trafficati anche da quella che i francesi chiamavano la pègre e gli italiani la mala, ai margini della legge.
Oggi, in tante città, sono i luoghi frequentati anzitutto dai giovani immigrati, in cerca di calore comune, e da chi ama mescolarsi con loro, per motivi diversi ma soprattutto perché vi si respira una vitalità che altrove è assente. Vi si respira! E non parlo dei marginali per forza, che la società respinge allontana per evitarli.
Questi luoghi – più frequenti e organizzati, mi pare, a Roma che in altre città – si animano la sera o nella prima parte della notte, e aspettano ancora il Pasolini che li canti, e perlustri e racconti anche se qualcuno a perlustrarli e raccontarli ci ha provato, meglio di tutti Nicola La Gioia non troppo tempo fa. A Milano, ma in anni più lontani, lo fecero egregiamente Umberto Simonetta e lo stesso Arbasino, a Napoli il compianto Enzo Moscato, ma trattando delle marginalità più evidenti.
Di loro – dei loro frequentatori più malmessi, quelli che ci stanno perché non li si aiuta a trovare di meglio – si occupano oggi soltanto certe organizzazioni cattoliche (che sanno bene come tra i più poveri dei loro assistiti avrebbero bisogno di un ricovero e di una cura, non solo di un pasto caldo… Ricordo con una certa commozione quanto fece tanti anni fa a Roma il prete Di Liegro, che ho ben conosciuto, per gli immigrati più emarginati e per i malati di Aids, mentre la sinistra latitava (e continua a farlo).
Beninteso, non è di questa marginalità che Lanati ci racconta, bensì di una marginalità culturalmente all’avanguardia, attiva e non silenziosa, che ha aperto la strada agli hippies e ai contestatori, e che è stata tanto culturale (in senso artistico e soprattutto antropologico) quanto a suo modo politica, come anticipatrice e stimolatrice di movimenti giovanili aperti e attivi.


 

il Venerdì di La Repubblica – 7 Ottobre 2024

America primo Novecento: la sera andavamo al Greenwich Village
di Nadia Fusini

Un saggio di Barbara Lanati ci porta tra i luoghi del modernismo made in Usa, dove l’arte si coniugava all’impegno civile.

Che beL libro! Strappa l’applauso. Una specie di Amarcord che tra nostalgia e rimpianto torna a farci innamorare dell’America, del Paese che è stato, davvero un Nuovo mondo… (Per qualche secolo almeno. Certo, oggi la scena è mutata!). […]


 

PULP Magazine – 27 Ottobre 2024
Barbara Lanati / Dal New England al Village, e oltre
di Elio Grasso

Barbara Lanati, la probabile prima traduttrice di Emily Dickinson capace di evitare l’addomesticamento di una poetessa che non si crede vogliosa di morbidezze elevate a poetica nella traduzione italiana della sua opera. Men che meno la studiosa che in questo densissimo viaggio nel tempo (americano e non) ha raccolto le vite individuali e collettive di figure destinate a inserire, con i loro contributi artistici, una chiave di volta nella letteratura mondiale dei primi decenni del Novecento.

In The Village Generation Lanati ci spiega come tutto ebbe inizio nelle capitali europee, con quelle idee che discutevano l’ordine delle cose, e che – trasportate oltreoceano – valicarono l’epoca della conquista degli spazi di Frontiera addensando una nuova generazione di scrittori e artisti nelle strade di New York, sulle spiagge dell’Atlantico e in seguito nel New Mexico. Il Village, e spazi limitrofi, considerati da John Reed e Marcel Duchamp (primi nomi a comparire nella pagina d’esordio del libro) motore d’arte e centro nervoso di New York al pari di come Henry Miller considerava Parigi rispetto all’Europa.

Impegno politico intrecciato a sperimentazioni artistiche crescevano all’interno di legami sentimentali con conseguenze d’ogni genere al seguito di letture epifaniche i cui spiriti crearono leggende nei decenni successivi (ma questa, a seguire i racconti di Arbasino, è un’altra storia). Altre erano le polveri da spazzare via, e tutto iniziò nel primo decennio del Novecento quando gli spazi geometrici che partivano dalle avenue videro aprirsi “deviazioni” che “laceravano” lo spazio della città e i pensieri in essa contenuti. Lì si aggirava, riferisce Lanati, il giovane Alfred Stieglitz: figura – come si vedrà – strategica di tutta la storia. Stieglitz, sperimentatore della nascente fotografia, che con Paul Strand cercò l’arte nelle strade di New York e nell’architettura stessa della metropoli.

Dà un senso di felice coinvolgimento inoltrarsi nella miriade di nomi e figure cui Lanati ridà visione nei primi capitoli del suo libro: mete e ritrovi dove uomini e donne potevano bere e fumare e discutere di diritti civili e libertà sessuale. Una rete di scambi e idee alimentate dalle moltissime riviste che nascevano e proliferavano da una parte e dall’altra delle coste atlantiche. “Little Review”, “Camera Work”, “The Masses”, “Poetry”, modernismo, dissidenze, scrittura, attraverso la voce, per esempio, di Emma Goldman, un instancabile Stieglitz, William Carlos Williams, in una prima e poi continua riconfigurazione di politica, arte e poesia. Si comincia a guardare a Kafka, Freud, e a Gertrude Stein il cui indirizzo in Rue de Fleurus diventa ombelico artistico di giovani (“lì si incontrarono le menti migliori di quella generazione”) e che espatriano per poi rientrare, alle porte della Prima guerra mondiale. Accoglienza, studio e ascolto, sono lezione per tutti.

Il fermento delle sperimentazioni viene seguito con ammirevole capacità narrativa nel folto di ogni capitolo, dove le figure si misurano l’una con l’altra in mezzo a nuove iconografie e, soprattutto, nuove linee di pensiero che dopo un po’ cominciarono a spostarsi sulla costa atlantica e successivamente alla volta del New Mexico, a Taos. D.H. Lawrence, Carl Gustav Jung, Jaime de Angulo, Georgia O’Keeffe, l’onnipresente Stieglitz, ecco i nomi nei pressi dei pueblos. Deserto e (è) libertà. “Nel cuore del deserto”, luogo binario per popolazioni native la cui arte ha molto da rivelare a questi viaggiatori provenienti dalla metropoli. Generazione tenacemente amata da Lanati, e che nel suo libro ci permette di raggiungere incrociando il vecchio e il nuovo di un’epoca al cui confronto l’attuale appare desolata (ben più waste dell’omonima eliotiana), reazionaria e bigotta. Pensiamo a questo libro come a uno dei luoghi descritti, magici e ricchi di interni “affollati di presenze reali” e esterni di “folgorante bellezza”.

UN ASSAGGIO

Indice

9 Ringraziamenti

11 Parte prima

Incipit, 13; New York, New York: nel cuore del Village, 15; Le voci del Village, 18; Alfred Stieglitz, 28; New York-Paris solo andata: Rue de Fleurus, 33; Paris-New York: 291 Fifth Avenue, 41; L’Armory Show, 44; Il Paterson Strike Pageant, 53; John Jack Reed, 57; Emma “la rossa” Goldman, 67; La stravagante Mabel Dodge, 76; The way they were, 87; Rebels with a cause, 91; P.Town e i Provincetown Players, 98; Mary Heaton Vorse O’Brien, 103; Eugene O’Neill, 108; Susan Glaspell, 111

117 Parte seconda

Alla volta di Taos, New Mexico, 119; Taos and its Artists, 123; Nel cuore del deserto, 126; David Herbert Lawrence, 131; Georgia O’Keeffe. La memoria del deserto, 139; Aldous Huxley. L’arte dello sguardo, 153; La Luce di Taos, 157

173 Postfazione. La magia dei luoghi

Appendice
Personaggi e interpreti, 179; Alcuni degli scioperi con maggiore risonanza a livello nazionale, 238; Poesie di William Carlos Williams, 239


 

Incipit

Iniziò tutto nelle grandi capitali europee, Londra, Parigi, Berlino e Zurigo, là dove era nata l’urgenza di mettere in discussione l’ordine composto e composito di un mondo saldamente attestato sulla roccaforte dell’etica vittoriana e dell’economia capitalista, nei cui confronti il circuito culturale della sperimentazione avanzava guerrigliero. Lotta impari, che l’artista “moderno” americano – quello preso in considerazione in questo studio – si ritrovò a combattere in un paese che andava accelerando nella Progressive Era. Ormai conquistati gli spazi di frontiera del Selvaggio West, il processo di industrializzazione e urbanizzazione di quello che gli europei consideravano il “Nuovo Mondo” era in piena ascesa e apriva (selettivamente) le porte a milioni di immigrati che fuggivano da povertà e persecuzioni.
Lotta che una nuova generazione di scrittori, artisti e intellettuali si ritrovò a condurre a New York, lungo le strade del Village, sulle spiagge dell’Atlantico, a Provincetown, e in seguito a Taos, nel deserto del New Mexico, con “piccole armi”, ritagliando spazi di solitarie comunità, le cui idee, come si vedrà, circolavano, spesso attraverso l’autofinanziamento, grazie a case editrici indipendenti, riviste e gallerie, piccoli teatri o atelier, ricavati nelle abitazioni o in luoghi dismessi. Il pubblico, lo stesso gruppo, una cerchia di amici, compagni, collaboratori, intellettuali militanti: una sorta di famiglia allargata.
Un filo sottile legava le vite di chi si batteva perché al “moderno” si facesse strada mentre i contatti sotterranei si andavano organizzando tra gruppi, da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Due mondi lontani, accorpati dalla politica e dall’economia in un unico grande spazio di cui la Prima guerra mondiale avrebbe rinsaldato i destini.
La nuova sperimentazione correva sottotraccia, passava attraverso incontri all’apparenza casuali che sarebbero diventati seminali, non solo per le esistenze di chi ne fu protagonista, ma soprattutto per la storia e la cultura del Novecento che si stava spalancando ai drammi e alle guerre che lo avrebbero segnato. Quei primi decenni, lontani nel tempo, ma ancora straordinariamente attuali, erano abitati da figure che, a distanza di un secolo, vale la pena ricordare e guardare più da vicino. Per il loro attivismo, per l’ostinazione con cui inseguirono i loro sogni, si avvicinarono gli uni agli altri, relegando al passato l’idea che l’esistenza individuale potesse prescindere da quella della collettività, schierandosi su posizioni (allora più che mai) rivoluzionarie, anticonformiste, contro l’establishment, contro la guerra, contro le diseguaglianze e le discriminazioni, inseguendo con tenacia sogni forse smisurati, ma necessari.