Realismo sovversivo

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Luca Martignani

pp. 113
Anno 2018
ISBN 9788869481529

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Descrizione

Luca Martignani
Realismo sovversivo. Sociologia del genere noir

L’obiettivo di questo saggio è quello di proporre un’analisi sociologica di alcune dimensioni del genere noir. La tesi principale del testo è che il passaggio dal poliziesco classico al noir conferisca a questo stile narrativo un profilo realista. Tale realismo esprime un risvolto “sovversivo”, almeno in un duplice senso. In primo luogo, sul piano stilistico, perché sconvolge alcuni dei canoni letterari del poliziesco classico per affermare un diverso punto di vista sulla realtà sociale, politica e culturale nella quale il genere si sviluppa. In secondo luogo, il noir rappresenta una forma di realismo sovversivo perché fornisce una versione più complessa e sfumata della distinzione tra bene e male. Lo fa interrogando il conflitto tra potere costituito e potere costituente, mostrando la centralità del territorio sul piano narrativo e indagando alcuni meccanismi di formazione della realtà sociale, come la costruzione della macchina del fango e la descrizione dell’accumulazione originaria del capitale. Nell’analisi condotta, tesa a rappresentare il noir come “giallo sociale”, la duplice vocazione sovversiva del genere emerge attraverso esempi letterari, cinematografici ed alcune interviste con testimoni privilegiati, in particolare con riferimento al caso italiano e francese.

Luca Martignani è Ricercatore confermato di Sociologia generale presso l’Università di Bologna. Si occupa di teoria sociologica, di epistemologia e ontologia sociale e della relazione tra rappresentazione (fiction, cinema e letteratura contemporanea) e realtà sociale. È stato Visiting Researcher all’IDHEAP (Institut des Hautes Etudes en Administration Publique) – Università di Losanna; al CERLIS (Centre de Recherche sur les Liens Sociaux) – Università di Parigi Descartes/CNRS e al CRAL (Centre de Recherche sur les Arts et le Language) – EHESS (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales).

RASSEGNA STAMPA

il manifesto – Cultura – 10.11.2018

Un cantiere aperto e scuro che segue la curvatura del presente
di Mauro Trotta

All’inizio degli anni Duemila, Valerio Evangelisti – autore di opere storiche e di romanzi quali il ciclo dell’inquisitore Eymerich o la trilogia Il sole dell’avvenire – riunì in due libri articoli e brevi saggi in cui sosteneva che, ormai, fosse quasi esclusivamente la letteratura di genere a occuparsi di quelle tematiche «forti» d’ordine storico, politico, sociale, tralasciate dalla cosiddetta letteratura «alta». Concetto, questo, che ritorna con forza nell’analisi dedicata al noir da Luca Martignani nel recente Realismo sovversivo. Sociologia del genere noir (ombre corte, pp. 113, euro 10).
IL DISCORSO di Evangelisti spaziava tra i vari settori della letteratura di intrattenimento, arrivando a toccare anche il fumetto e i cosiddetti b-movies, mentre il libro di Martignani si incentra su di un solo genere, il noir appunto, e ne indaga la genesi e lo sviluppo limitatamente alla Francia e all’Italia e, per quanto riguarda il cinema, non esce dai confini del nostro paese. L’approccio utilizzato è di stampo sociologico, del resto l’autore è ricercatore di sociologia generale presso l’università di Bologna. Il discorso critico è arriccchito da brani di interviste a vari esponenti del genere, si va da Massimo Carlotto ad Andrea G. Pinketts, da Carlo Lucarelli a Davide Bacchilega, da Wu Ming 5 a Eraldo Baldini.
DOPO AVER CHIARITO le differenze con il giallo classico – basato sull’idea di enigma, sulla razionalità logico-deduttiva e sulla netta distinzione tra bene e male, e volto al ripristino dell’ordine sociale preesistente minacciato dal delitto – Martignani individua i fondatori del poliziesco contemporaneo in Scerbanenco, per quanto riguarda l’Italia, e in Manchette e Izzo, per la Francia. Dall’analisi di autori e opere emergono con forza gli elementi caratteristici del noir contemporaneo riassumibili in un forte realismo, caratterizzato da una descrizione puntuale del territorio, una consapevolezza morale più sfumata per cui non c’è lotta tra bene assoluto e male assoluto, il crollo della fiducia nella razionalità logico-deduttiva, per cui trova spazio anche la causalità, a cui si aggiunge uno sguardo critico e sovversivo nei confronti della realtà, attraverso il quale vengono messi in discussione i meccanismi sociali, economici e politici della contemporanea società capitalista. Il libro è pieno di ulteriori riflessioni interessanti, ad esempio quando sottolinea come il genere esaminato sembri aver sopperito alle mancanze attuali del giornalismo d’inchiesta o ancora nel momento in cui nota la forte presenza di magistrati tra gli scrittori di polizieschi «in quanto testimoni privilegiati di contenuti non dicibili (segreti)».
L’ANALISI portata avanti da Martignani su quella che, secondo una «profezia» di Laura Grimaldi del lontano 1989, «sarà la letteratura dell’avvenire» risulta essere davvero stimolante e interessante, anche quando può destare delle perplessità. È il caso, per esempio, dell’allentamento forse eccessivo dei confini del noir soprattutto cinematografico che porterebbe a comprendere al suo interno anche opere come Le mani sulla città di Francesco Rosi o Il muro di gomma di Marco Risi.
Del resto è lo stesso autore a sottilineare il carattere di «cantiere aperto» dello studio, definendolo tra l’altro «il contributo più a-sistematico che abbia scritto». Ed è senza dubbio anche questa la forza del libro, un testo in grado di chiarire questioni, suggerire risposte ma anche e soprattutto capace di indicare percorsi, porre nuove domande, tracciare linee di ricerca future.

Femminismo. «Per una teoria generale dello sfruttamento», di Christine Delphy. Per ombre corte il volume della sociologa francese sul lavoro domestico come base materiale dell’oppressione delle donne.

Il suo contributo teorico e in termini di militanza agli studi femministi, all’economia politica e alla sociologia del lavoro la rende una delle figure chiave del femminismo internazionale. Christine Delphy, attualmente ricercatrice e direttrice di ricerca onoraria al Cnrs, è attiva dagli anni Settanta nel Mouvement de Libération des femmes, nel ’69 entra nel gruppo non misto Féminisme, Marxisme, Action. È tra le fondatrici della rivista «Questions féministes» a cui aderiranno anche Monique Wittig e Colette Guillaumin e di cui Simone de Beauvoir divenne direttrice di pubblicazione. La rivista, che in quegli anni divenne luogo di dibattito per una rivoluzione epistemologica del pensiero femminista non solo francese, si costituì come portavoce del femminismo radicale e di quello che da allora venne chiamato «femminismo materialista» (categoria forgiata proprio da Delphy nel ’75).
OMBRE CORTE ha pubblicato Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro (pp. 155, euro 13), uno degli ultimi studi di Christine Delphy. L’originale francese del 2015 ha visto l’ottima traduzione e cura di Deborah Ardilli cui si deve anche la necessaria postfazione al testo nonché il profilo bio-bibliografico della sociologa e femminista francese. La prefazione, a opera delle studiose quebecchesi Mélissa Blais e Isabelle Courcy, ci suggerisce la scelta editoriale dell’originaria coedizione franco-canadese Éditions Syllepse e M Éditeur, ma soprattutto ci permette di leggere il pensiero di Delphy tramite voci che, pur francofone, restano di una ricchezza altra rispetto al panorama francese. Le due studiose, percorrendo i temi affrontati nel testo, si soffermano su una questione che Delphy tratta in maniera molto ampia: il ripensamento dei lasciti marxisti nelle analisi delle forme di sfruttamento e il conseguente occultamento delle altre forme di dominio.
Nel testo Christine Delphy riesce a dare una forma inedita all’elaborazione di una teoria generale dello sfruttamento. Riesce a farlo partendo dall’analisi delle modalità di produzione del lavoro domestico. Gli interrogativi di base sono i seguenti: perché, nonostante la maggioranza delle donne lavori, la quasi totalità del lavoro familiare continua a essere effettuato dalle donne? Perché anche quando la partecipazione dei due sessi al lavoro retribuito tende all’uguaglianza, all’interno della famiglia essa resta dissimmetrica?
LA SOCIOLOGA risponde che il lavoro domestico è stato e resta il luogo di sfruttamento e la base materiale dell’oppressione delle donne ed è il mezzo di sfruttamento patriarcale per eccellenza, ancor prima di essere capitalista. La «distribuzione asimmetrica» delle attività domestiche espletate dalle donne è inerente allo status della famiglia eterosessuale.
Partendo da una lettura materialista dei rapporti sociali Delphy sottolinea la necessità di soffermarsi sull’insieme dei rapporti di appropriazione del lavoro, considerando come l’estorsione del lavoro e il ricorso al lavoro gratuito derivino da forme che in Occidente si pensano legate al periodo coloniale o tutt’al più ai lasciti dello schiavismo – modalità estorsiva considerata (a torto) lontana.
Delphy pesa il carattere multiplo delle forme di sfruttamento che gravano sul lavoro domestico delle donne e ravvisa come lo sfruttamento capitalista sia così lesivo proprio perché combinato con i sistemi contemporanei di schiavitù, di memoria feudale. A differenza dello sfruttamento capitalista tuttavia queste ultime ma primarie forme di sfruttamento rimarrebbero invisibili anche nelle analisi economiche, negli ambiti della ricerca universitaria di settore e dell’opinione pubblica: «Si è imposta una doxa che identifica totalmente diversi termini: economia, sfruttamento, capitalismo e classe. Qui l’economia viene intesa nel senso dei classici: si tratta dell’economia di mercato. Lo sfruttamento è economico e, poiché l’economia coincide con il mercato, lo sfruttamento non può che passare attraverso il mercato. I meccanismi di questo sfruttamento sono quelli del capitalismo, che non hanno più niente a che vedere con quelli dei modi di produzione «anteriori», feudalesimo e schiavismo».
In L’ennemi principal 1. Économie politique du patriarcat (Syllepse, 1998), pur riconoscendo l’embricatura di diversi sistemi di sfruttamento nell’oppressione delle donne, Dephy non si serve del concetto di intersezionalità (elaborato da Kimberlé Crenshaw qualche anno prima) come probabilmente ci aspetteremmo, perché secondo la studiosa tale concetto non nominerebbe lo sfruttamento. Come spiega Ardilli nella postfazione «una teoria generale dello sfruttamento sarà invece più portata a sottolineare come il rapporto di appropriazione costitutivo delle classi di sesso sia trasversale e immanente alle stratificazioni di “razza” e di classe (nel senso tradizionale del termine) che caratterizzano una formazione sociale».
SOSTENENDO che la dimensione di classe abbia assorbito le dimensioni di genere e razza Delphy critica anche l’interpretazione della teoria del plusvalore secondo la convinzione che il lavoro domestico femminile – per antonomasia gratuito – non sia«un prodotto esclusivo del capitalismo, né un vantaggio solo per il capitalismo».
Nel 2002 Delphy intitolava un suo articolo: «Le travail domestique ne se partage pas, il se supprime» e spiegava che nel modo di produzione domestico il lavoro (in quanto prestazione gratuita) non possa essere condiviso né ripartito – trattandosi di una forma di sfruttamento tra le parti coabitanti.
Anche in quest’ultimo lavoro ritorna in maniera definitiva sulla questione: «Nel quadro concettuale del modo di produzione domestico, pertanto, è inesatto parlare di ‘divisione dei compiti’ per quanto riguarda il lavoro familiare: di fatto soltanto il lavoro gratuito, cioè il lavoro effettuato gratuitamente per qualcun altro, è lavoro domestico nel senso rigoroso del termine. Il lavoro gratuito è lo sfruttamento economico più radicale. Non possiamo augurarci di ripartire equamente una forma di sfruttamento. L’unica cosa che possiamo augurarci è di fare in modo che nessuno lavori gratuitamente per qualcun altro».

UN ASSAGGIO

1. Introduzione: l’impianto del saggio
(struttura, obiettivi e metodo)

L’obiettivo di questo saggio è quello di proporre un’analisi sociologica di alcune dimensioni del genere noir. La tesi principale del testo sostiene che il passaggio dal poliziesco classico al noir conferisca a questo stile narrativo un profilo realista. Tale realismo esprime un risvolto “sovversivo”, almeno in un duplice senso. In primo luogo, sul piano stilistico, perché sconvolge alcuni dei canoni letterari del poliziesco classico per affermare un diverso punto di vista sulla realtà sociale, politica e culturale nella quale il genere si sviluppa. In secondo luogo, il noir rappresenta una forma di realismo sovversivo perché fornisce una versione più complessa e sfumata della distinzione tra bene e male. Lo fa interrogando il conflitto tra potere costituito e potere costituente, mostrando la centralità del territorio sul piano narrativo e indagando alcuni meccanismi di formazione della realtà sociale, come la costruzione della macchina del fango e la descrizione dell’accumulazione originaria del capitale.
Nell’analisi condotta, tesa a rappresentare il noir come “giallo sociale”, la duplice vocazione sovversiva del genere emerge attraverso esempi letterari, cinematografici ed alcune interviste con testimoni privilegiati, in particolare con riferimento al caso italiano e francese.

2. Le origini: dal romanzo poliziesco al genere noir

In relazione all’emergere del romanzo poliziesco ed alle sue sottocategorie o trasformazioni, si registra la necessità di introdurre un elemento di ricostruzione storica, per poi considerarne gli aspetti critici. Il genere si afferma in letteratura nel xix Secolo, e si diffonde lungo tutto il Novecento. A caratterizzare il poliziesco è la centralità assunta dal crimine, spesso rappresentato da un caso scabroso ed enigmatico. Tra le sottocategorie del genere poliziesco si afferma il giallo (o polar, in francese) la cui peculiarità consiste nel ruolo centrale delle indagini che conducono alla risoluzione del caso. Per dirla con le categorie di Luc Boltanski, che ha dedicato al genere un bel saggio (2009) il poliziesco descrive analiticamente le fasi attraverso le quali ha luogo la de-costruzione della categoria dell’enigma (la vicenda criminale, in questo caso) o del mistero (come indica il giallista italiano Carlo Lucarelli). La valenza simbolica del romanzo poliziesco nel restituire al lettore la centralità assunta dalla sfera della ratio individuale (rappresentata dalla figura del detective) e l’esigenza di potenziare il metodo logico-deduttivo per spiegare le trasformazioni indotte dal processo di modernizzazione nei centri urbani occidentali. Se si seguono alcune delle intuizioni di Sigfried Kracauer (1925; trad. it. 2011) emerge che questo genere è conseguenza di (e mediazione tra) (1) progresso associato al metodo sperimentale scientifico, (2) antropologia razionalista (3) crescita delle città e delle forme di esclusione ad esse correlate (prostituzione, alcolismo, vagabondaggio):

Se è vero che l’arte in generale, dal momento che rappresenta lo specchio della perfezione, assume il significato di redenzione, tuttavia essa non intende creare una favola pura e semplice. Il suo tema è piuttosto la realtà, che da essa viene internamente concatenata nel campo dell’estetico (Kracauer 1925; trad. it. 2011, 133).

In questo senso, il romanzo poliziesco è un oggetto culturale che diffonde una rappresentazione del soggetto individuale tipicamente moderna. I classici del romanzo poliziesco denotano un livello di fiducia piuttosto elevato nella res cogitans (e nella fortuna!) del detective.